Dai libri di diritto amministrativo alla nostra quotidianità: la messa in commercio di un farmaco, l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’erogazione di aiuti di Stato. Vediamo una questione che interessa da vicino tutti noi
Le pubbliche amministrazioni – Comuni, Regioni, Ministeri, nonché le Università – nella propria attività si trovano costantemente di fronte al diritto dell’Unione Europea. Ciò perché quest’ultimo regola una serie sempre più ampia di ambiti: la materia ambientale, i contratti pubblici, gli aiuti di Stato, solo per fare alcuni esempi. Insomma, questioni che interessano da vicino la nostra quotidianità. Difficile però far andare tutto liscio: può capitare, infatti, che i provvedimenti adottati da queste finiscano per rivelarsi “antieuropei”. Un termine che può spaventare, ma facciamo un passo indietro per capire di cosa stiamo parlando:
Cosa si intende con l’espressione provvedimento amministrativo “antieuropeo”?
«Il provvedimento amministrativo “antieuropeo” è un tema che si è posto nella pratica già dalla metà degli anni ’80 – spiega Chiara Feliziani, professoressa di diritto amministrativo al Dipartimento di Giurisprudenza del nostro Ateneo – , ma rispetto al quale permangono una serie di interrogativi, tanto dal lato della giurisprudenza, quanto dal lato della dottrina».
Interrogativi a cui la professoressa prova a rispondere nella sua ultima ricerca, lunga oltre cinque anni di lavoro, e pubblicata col titolo “Il provvedimento amministrativo nazionale in contrasto con il diritto europeo. Profili di natura sostanziale e processuale” (Editoriale Scientifica, 2023).
«Con questo libro sono andata a studiare un tema classico del diritto amministrativo – spiega sempre la professoressa –, il provvedimento, nella sua dimensione “patologica”, data dal fatto che questo si presenta in contrasto con un parametro normativo che, nella specie, è rappresentato dal diritto dell’Unione Europea».
Un contrasto che si può verificare in due modi
- Diretto, «nell’ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato in violazione di una disposizione del diritto europeo direttamente applicabile»;
- Indiretto, «quando il provvedimento risulta rispondente al diritto interno, il quale però non recepisce correttamente la fonte europea».
Cosa si può fare per evitarlo? «È un po’ come chiedere: “Cosa possiamo fare affinché non vengano mai più adottati dalle amministrazioni provvedimenti illegittimi o, più in generale, invalidi?”. Di principio, direi niente o poco: è infatti nella natura delle cose che, accanto alla fisiologia, ci sia anche la patologia».
«Nondimeno – precisa la professoressa – con specifico riguardo al provvedimento “antieuropeo”, vi è una considerazione “di sistema” che sin qui ha inciso non poco. Vale a dire, il modo in cui è stato inteso il rapporto tra ordinamento interno e diritto europeo: su questo tema, ad esempio, storicamente la Corte Costituzionale aveva assunto una posizione ben distante dalla Corte di Giustizia. Non vi è dubbio che queste aporie abbiano acuito le incertezze circa lo statuto giuridico del provvedimento amministrativo “antieuropeo”, le quali si sono riverberate, inevitabilmente, sull’attività amministrativa».
Quindi a quali conclusioni arriva nella sua ricerca?
«L’attenzione si è appuntata specialmente sulle conseguenze giuridiche che si riconnettono al provvedimento “antieuropeo”. Sarà un provvedimento nullo, sarà un provvedimento annullabile, sarà un provvedimento da disapplicare? Con questo libro ho provato a mettere in evidenza come in passato si sia caduti in un equivoco: ossia quello di ritenere il provvedimento “antieuropeo” come un provvedimento “speciale”, diverso dagli altri provvedimenti amministrativi. Io invece nel mio lavoro sostengo che si tratti di un provvedimento “normale”, laddove ciò che cambia è il parametro normativo rispetto al quale si verifica la patologia, cioè il contrasto: non una norma interna, ma una norma che, direttamente o indirettamente, discende dal diritto dell’Unione europea. Da ciò consegue che, a mio avviso, il provvedimento amministrativo “antieuropeo” soggiace alla normale disciplina delle invalidità».