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Tra noi e ciò che mangiamo ci sono le etichette, decisive soprattutto per chi deve prestare particolare attenzione all’alimentazione, come i pazienti affetti da diabete. Vediamo come una corretta normativa possa giovare alla salute delle persone e alle tasche degli esercenti.
Che cos’è il diabete? Una malattia cronica caratterizzata da un eccesso di zuccheri nel sangue, la quale può portare a numerosi fattori di rischio per l’organismo – neurologici, renali, oculari e cardiovascolari – che, oltre a compromettere il benessere della persona, possono risultare fatali se non si segue una terapia adeguata. Terapia non solo farmacologica, ma soprattutto legata allo stile di vita e all’alimentazione. Dipende in particolare da questi due fattori il cosiddetto “diabete di tipo 2”, che in Italia conta ben 4 milioni di pazienti – circa il 6% della popolazione.
Un problema, quindi, sociale, che influisce sull’intero sistema sanitario – sull’intera comunità – come sulla salute del singolo, arginabile però promuovendo l’importanza dell’attività fisica e di corrette abitudini alimentari. Tuttavia, spesso, gli scaffali di negozi e supermercati sono un mare magnum di etichette colorate dai titoli ambigui e che riportano mirabolanti proprietà benefiche. Difficile quindi districarsi durante la frettolosa spesa quotidiana, fatta di prime impressioni, abitudini e offerte lampo. È importante perciò che, a monte, da un punto di vista legale, la comunicazione sulle etichette segua delle regole rigide, così da dare sicurezza sia ai normali consumatori che alle persone affette da diabete o altre patologie, alla ricerca di alimenti con specifiche proprietà nutrizionali.

«La nostra ricerca – spiega Serena Mariani, ricercatrice in diritto agrario all’Università di Macerata – inserita nell’ambito del progetto SAFINA – parte del più ampio “Vitality” – mira a proporre e definire, da un punto di vista legale, le regole per una corretta comunicazione in etichetta degli alimenti», con un duplice scopo: «permettere ai pazienti diabetici di comprendere più facilmente le indicazioni nutrizionali necessarie alla loro terapia, e a beneficio degli operatori economici che decidono di investire in prodotti con determinate caratteristiche, e che una corretta dicitura in etichetta può valorizzare».
Le regole partono da due principi fondamentali
Come ci illustra la Pamela Lattanzi, docente Unimc di diritto agrario: «Le informazioni in etichetta non devono essere ambigue o ingannevoli, e oltre a quelle previste per legge, è necessario riportare diciture aggiuntive che mettano in risalto quelle caratteristiche distintive e utili ai pazienti».
Tra le indicazioni già obbligatorie per legge in confezione, e utili alle persone diabetiche, abbiamo ovviamente la tabella nutrizionale, la lista degli ingredienti e la dicitura che indica l’assenza di prodotti tossici o nocivi, «informazioni delicate – continua la docente – perché legate alla salute, ma spesso oggetto di mistificazione da parte degli operatori». Alcune indicazioni, invece, specifiche per il diabete e già presenti in legislazione sono frasi come «“senza zuccheri”, “senza zuccheri aggiunti”, “ricco di fibre” o tutte le terminologie legate all’amido resistenza, fortemente normate dall’UE e dal Ministero della Salute». Un esempio di indicazione controversa lo troviamo nella dicitura “a basso indice glicemico”, non autorizzata in Italia, ma riscontrabile in altri Paesi del mondo e della stessa UE, «dal momento che l’Unione fornisce delle linee guida che non sono mai obblighi da questo punto di vista, e ciò dà la possibilità a ciascuno Stato di decidere la normativa che ritiene più adeguata, generando però confusione».