Quando l’emancipazione femminile incontra l’inclusione. Come consentire alle eroine invisibili della nostra società di rinascere dalle proprie ceneri.
Dalla mitologia egizia e greca ai romanzi fantasy, la fenice è da sempre oggetto di venerazione e fascino dell’uomo. La sua proverbiale capacità di ardere e poi rinascere dalle proprie ceneri negli anni ha ispirato miti e leggende presso vari popoli, elevandola ad animale sacro, simbolo di resilienza e rinascita infinita. È per questo che Arianna Taddei, docente di Didattica e Pedagogia Speciale all’Università di Macerata, ha deciso di ricorrere alla similitudine della fenice per descrivere la condizione delle donne con disabilità nel suo ultimo libro: proprio “Come fenici” – questo il titolo – «le donne con disabilità, se adeguatamente sostenute, possono rinascere, emanciparsi e trarre forza dalle loro fragilità», afferma l’autrice stessa.
Il volume fa parte della collana “Traiettorie Inclusive” di FrancoAngeli editore, diretta dalla prorettrice Unimc Catia Giaconi e dedicata alle proposte di ricerca sui temi della disabilità, dei bisogni educativi speciali e delle forme di disagio e devianza in ottica di inclusione. Determinanti per la stesura, spiega l’autrice, sono stati l’incontro con Rita Barbuto, una delle più importanti esponenti dei movimenti per la tutela dei diritti delle donne con disabilità nonché autrice della prefazione, e i numerosi viaggi che le hanno consentito di entrare in contatto con storie di donne con disabilità di diverse aree del mondo. Dopo la breve introduzione, le docenti ripercorrono i tre punti salienti in cui è ripartito il volume: la peculiarità delle discriminazioni delle donne con disabilità, tre storie di vita, e i cinque possibili percorsi verso l’empowerment e l’emancipazione femminile.
Quali discriminazioni
Il primo aspetto messo in luce è la specificità femminile della disabilità: discriminate in quanto donne, in quanto disabili e in quanto appartenenti a gruppi etnici minoritari o contesti disagiati, le donne con disabilità sono ancora più svantaggiate rispetto agli uomini con le stesse problematiche e vivono perciò una condizione di multi-discriminazione che si colloca all’intersezione tra disparità di genere, abilismo e svantaggio socioculturale. Quella delle donne con disabilità è quindi una «complessità identitaria multidimensionale» che Arianna Taddei invita a comprendere con approccio intersezionale:
«non bisogna limitarsi a fare una sommatoria delle discriminazioni, ma è necessario interpretarle in modo critico e intrecciarle in un dialogo interdisciplinare tra Feminist Studies, Disability Studies e Pedagogia Speciale»
Donne cancellate
C’è però, nel parallelismo con la fenice, un secondo livello di lettura che emerge nella sezione dedicata alle storie di vita di Rosaria Duraccio, Nunzia Coppedè e Temple Grandin, tre donne disabili oggi attive nei movimenti per i diritti delle persone con disabilità. Come l’araba fenice: che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa, recita il proverbiale paragone di Metastasio tra la fenice e le persone o cose di cui tutti parlano, ma che nessuno ha mai visto. Anche le donne con disabilità: ci sono, lo sanno tutti, ne parlano molti. Ma chi le ha mai davvero viste? Chi le ha mai davvero ascoltate? E soprattutto, chi le ha mai fatte sentire, all’interno della società, davvero visibili?
È emblematico che Rosaria Duraccio, la seconda delle testimonianze riportate nel libro, utilizzi l’espressione “donna cancellata” per descrivere la condizione di reclusione vissuta all’interno dell’istituto dove è stata ricoverata dopo le scuole dell’obbligo. Invisibili, emarginate, inesistenti come fenici: è così che si sentono le donne con disabilità. Lo scetticismo rispetto all’esistenza della fenice descrive bene la cancellazione dell’identità femminile e la privazione del diritto di scelta e autodeterminazione che le donne con disabilità subiscono quotidianamente. Il testo di Taddei sembra quindi offrire l’ennesima conferma che, quando si parla di disabilità, non si può procedere alla cieca, ma bisogna accostare metaforicamente l’inclusione alla visibilità.
Senza visibilità non c’è possibilità di inclusione: sentirsi viste significa sentirsi esistere, sentire di meritare spazio nel mondo e, di conseguenza, esercitare attivamente diritti e doveri all’interno della società.
Perciò, qualsiasi passo in direzione dell’accessibilità non può prescindere dalla presa visione delle esigenze reali e concrete delle donne con disabilità. L’intento dell’autrice è quello di dare corpo e voce a queste donne e i tre casi rappresentativi presi in esame consentono di riflettere sui temi cruciali della disabilità femminile: il diritto alla maternità e alla sessualità, la vergogna rispetto a un corpo non conforme agli standard estetici della società, la maggiore esposizione alla violenza fisica e psicologica, l’accesso all’istruzione e al lavoro; in poche parole, la tutela e la consapevolezza del corpo e della mente. In questo modo, Taddei fa luce su vissuti, bisogni e, perché no, anche desideri e capricci di queste donne, che vorrebbero fosse, appunto, la loro identità di donne e di persone a definirle, e non il loro handicap. Perché il piacere deve essere ammesso nella vita delle persone con disabilità esattamente come in quella di coloro che non ne hanno.
Insomma, la disabilità è allo stesso tempo una caratteristica come un’altra e un tratto distintivo che, se ben valorizzato, può trasformarsi nel punto di forza della persona. Da un lato bisogna saper riconoscerne le specificità, non eluderla ma, anzi, incoraggiare queste donne a costruire una propria identità sociale e politica proprio attorno ad essa; dall’altro non bisogna dimenticare che quella delle donne con disabilità è una categoria arbitraria applicata a una realtà sociale più complessa, dai contorni frastagliati, in continuo divenire e non riducibile alla sola disabilità.
Le vie per l’emancipazione
Una volta posta la base solida del riconoscimento, si può procedere con il tracciare delle vie per l’emancipazione. Ispirandosi alla pedagogia dell’emancipazione di Paulo Freire, Taddei ha progettato dei percorsi su misura per le donne con disabilità. Le strade sono cinque: istruzione, progettazione e accessibilità, educazione e doppia cura, prevenzione, cooperazione. Il primo passo per tirarsi fuori da una situazione di disagio e ricominciare è proprio l’istruzione:
«la possibilità di proseguire gli studi rappresenta per queste donne la possibilità di riscattarsi e immaginare prospettive future che prima venivano loro negate».
Il tutto deve avvenire nel quadro di una progettazione socioeducativa accessibile, creata ad hoc per i loro bisogni e desideri col sostegno delle istituzioni e delle famiglie e sul modello dell’Universal Design. La via della doppia cura permetterà poi di andare oltre l’accudimento medico, spesso paternalistico, della salute psicofisica e di coltivare anche le relazioni interpersonali, la qualità della vita e l’autonomia della persona per una reale emancipazione. Proprio le capacità relazionali ed empatiche, questa volta dei caregiver, conducono alla via della prevenzione: creando un ambiente sicuro e agendo sulla consapevolezza, conferiscono alla persona con disabilità gli strumenti per tutelarsi in caso di violenza. L’ultima via è quella della cooperazione:
«solo attraverso una corresponsabilità sociale, politica ed educativa si possono avviare percorsi di emancipazione: solo insieme e dando voce a queste donne è possibile cambiare la realtà».
La rinascita
Dopo il traguardo c’è poi il nuovo inizio, la rinascita della fenice. L’empowerment delle donne con disabilità percorre le vie della narrazione e del lavoro: la prima, per il potente effetto di rispecchiamento provocato in chi, rivedendosi nella storia di una persona con disabilità, trova finalmente un modello da seguire; la seconda, affinché le donne con disabilità abbiano il coraggio di dirigersi verso strade non ancora battute e di tracciare un sentiero tutto loro. E allora, quella di Taddei è una scrittura di luce che vede le donne con disabilità per come sono realmente e le fa risorgere ad ogni lettera del suo libro, seminando fra le pagine un sentiero d’inchiostro che altre donne con vissuti e problematiche simili potranno seguire in futuro.