Molte opere d’arte o monumenti storici, pur riflettendo visioni comuni al tempo della loro creazione, oggi risultano problematiche per la presenza di stereotipi razziali, religiosi, etnici o di genere. Il professor Capriotti analizza alcuni esempi. «Non vogliamo buttare giù i monumenti e tirare giù le tele, ma interrogarci sulle strategie per trasformare un passato controverso in un passato condiviso»
Dal latino controvèrsus, “volto di fronte, opposto”, l’aggettivo “controverso” si riferisce a cose o persone considerate discutibili e che sono dunque oggetto di discussione. Può un’immagine essere controversa? Invertire l’ordine delle cose e far discutere? Qualcuno potrebbe obiettare che ogni immagine debba esercitare quest’effetto: per il solo fatto di sottrarre delle porzioni di mondo alla mota indistinta delle cose e di isolarle entro un perimetro, le immagini dovrebbero quantomeno richiamare l’attenzione sui soggetti che rappresentano e far sorgere discussioni intorno ad essi. Ci sono alcune immagini, però, che sono più controverse di altre, perché voltano le spalle al normale flusso degli eventi e procedono nella direzione opposta, nuotando controcorrente e generando contrasti, controstorie e controsensi. Questo provoca da sempre un certo fastidio in chi preferirebbe che le cose andassero e venissero raccontate per il verso giusto. Ma forse c’è un’alternativa. Un gruppo di ricerca coordinato da Giuseppe Capriotti – docente di Storia delle immagini, Educazione all’immagine e European Art History all’Università di Macerata – ha riflettuto intorno alla categoria del controverso nell’arte con un approccio inclusivo e interdisciplinare, con l’obiettivo di decostruire le narrazioni dominanti che queste immagini restituiscono e di individuare nuove possibili narrazioni visive, condivise nel presente, potenzialmente controverse nel futuro.
Cos’è un’immagine controversa
Un’immagine controversa è un’opera d’arte o un monumento storico del passato contenente stereotipi razziali, religiosi, etnici, di genere o raffigurante condizioni di oppressione. Le riconosciamo, spiega Capriotti, perché tipicamente «rappresentano in maniera peggiorativa e denigratoria l’alterità». Queste immagini, anche se quando sono state create non erano considerate controverse, sono diventate oggi problematiche a causa del sorgere di nuove sensibilità e consapevolezze rispetto a questi temi. La storia dell’arte italiana ed europea, ma anche quella oltreoceano, ne è piena. Il professor Capriotti ne elenca solo alcune: le immagini antigiudaiche e anti islamiche dell’arte medievale e rinascimentale, le raffigurazioni di schiavi neri in molti dipinti e sculture, la violenza di genere racchiusa nel tema mitologico del Ratto in pittura e letteratura, le statue statunitensi e britanniche dedicate a personaggi storici con un passato da schiavisti. Stereotipi che negli anni hanno consolidato veri e propri codici visivi, come quello che vuole l’ebreo raffigurato con il naso adunco, il cappello a punta e il segno di colore giallo poi diventato la Stella di David durante le persecuzioni naziste. A rendere ancora più controverse queste immagini, spiega Capriotti, è la loro collocazione in spazi pubblici: piazze, strade, chiese, luoghi oggi frequentati da flussi multietnici di persone.
«È innanzitutto una questione di riconoscimento: queste presenze creano imbarazzo tanto in chi si riconosce in quelle rappresentazioni peggiorative e se ne sente offeso, quanto in chi, da bianco europeo occidentale, non si riconosce più nella cultura che le ha prodotte».
Come porsi in maniera inclusiva e interdisciplinare rispetto al patrimonio culturale
Il progetto di ricerca è stato presentato nel mese di gennaio 2024 in occasione della mostra Africa. Le collezioni dimenticate presso i Musei Reali di Torino e ha poi dato seguito a una serie di incontri culminati nel convegno internazionale tenutosi a Macerata il 17-18 giugno 2024. Tra le tematiche oggetto di dibattito: colonialismo, razzismo, antisemitismo, violenza di genere, diseguaglianze, e più in generale rappresentazioni denigratorie delle minoranze. L’immagine è attraversata da tutti questi temi: è il convoglio di fenomeni sociali, culturali, politici, economici e storici complessi; un campo di forze conteso tra spinte opposte, nonché il luogo virtuale in cui si manifesta il potere e perciò spesso dispositivo del suo esercizio. L’approccio suggerito dal gruppo di ricerca è quindi quello di non rimuovere o distruggere le immagini controverse, ma di utilizzarle come preziosa occasione di dibattito transculturale e transgenerazionale tra passato e presente, individuando una possibile alternativa alla cosiddetta cancel culture.
«Noi non vogliamo buttare giù i monumenti e tirare giù le tele dagli altari, ma vogliamo interrogarci sulle possibili strategie per trasformare questo passato controverso in un passato condiviso», chiarisce Capriotti.
Secondo il docente, infatti, questo passato carico di pregiudizi e stereotipi non va cancellato e rinnegato, ma piuttosto contestualizzato, compreso, analizzato criticamente e discusso con un linguaggio condiviso. Certo, sempre col proposito di trovare nuove modalità di rappresentazione, perché
«il modo in cui si rappresenta il mondo influenza il modo in cui lo viviamo».
Ma come creare un linguaggio condiviso per discutere intorno alle immagini controverse?
Durante la ricerca ci si è avvalsi dello strumento del focus group, gruppi di dibattito composti da docenti e studenti, per mettere a confronto diverse percezioni delle immagini controverse, cercare un linguaggio condiviso e non offensivo e proporne letture più inclusive.
«Prendiamo un dipinto che rappresenta uno schiavo nero:», prosegue Capriotti, «quell’immagine può diventare un attivatore di dialogo non solo tra me e il passato, ma tra me e il mio presente perché, se quelle forme di schiavismo oggi non esistono più, sicuramente ne esistono di nuove».
Il collegamento con l’assassinio di George Floyd, il movimento Black Lives Matter e la xenofobia insita in alcune odierne politiche anti-immigrazione è immediato.
Il linguaggio condiviso per un discorso inclusivo sulle immagini controverse è quindi garantito da un approccio interdisciplinare. Oltre a Capriotti il progetto ha, infatti, coinvolto docenti e ricercatori Unimc di altre discipline – Rosita Deluigi, Miriam Cuccu, Francesca Mondin, Patrizia Dragoni, Sara Lorenzetti, Tatiana Petrovich Njegosh, Maria Paola Scialdone e Uoldelul Chelati Dirar – in un dialogo tra storia dell’arte, storia, pedagogia, museologia e letteratura. Come fa notare il docente,
«l’immagine si presenta come luogo d’incontro tra diverse discipline».
E quindi si è lavorato, oltre che su immagini pittoriche, anche su immagini letterarie. Per esempio, a proposito del tema pittorico e letterario del Ratto, che è a tutti gli effetti uno stupro, sono state esaminate criticamente le relazioni tra i poemi di Ovidio e il ruolo della donna nella società romana dell’epoca.
Decolonizzare il patrimonio culturale e la cultura classica
C’è tutto un immaginario che è arrivato fino a noi, da custodire perché prezioso, ma anche da mettere in discussione perché controverso.
«La cultura classica occidentale è ancora oggi considerata la culla della democrazia, della filosofia, del diritto; eppure, assieme a queste ha lasciato in eredità anche le peggiori idee maschiliste e xenofobe», commenta Capriotti.
L’esito ultimo di questo processo è il modo in cui è conservato il patrimonio di altre etnie e religioni nei grandi musei occidentali: spesso relegato ad aree secondarie poco visitate o rappresentato come oggetto esotico a cui si guarda con la curiosità dell’esploratore. «Dobbiamo decolonizzare non solo i musei, ma la storia dell’arte tutta e i suoi manuali», suggerisce il docente. C’è bisogno di decolonizzare la nostra mentalità e il nostro modo di osservare, studiare e insegnare le immagini. Solo così riusciremo a dare la giusta visibilità all’arte non occidentale o ad opere e artisti occidentali sottovalutati e marginalizzati.
Immagini controverse del fondo Buonaccorsi
Il progetto di ricerca ha infine visto il coinvolgimento degli studenti del corso di laurea magistrale in Management dei Beni Culturali dell’Università di Macerata, che hanno curato l’allestimento di una mostra di immagini controverse tratte dai libri del fondo Buonaccorsi custodito nella Biblioteca Statale di Macerata.
«Quando la famiglia Buonaccorsi divenne nobile», spiega Capriotti, «i suoi rampolli entrarono nell’ordine dei Cavalieri di Malta, storicamente nemici dell’Impero Ottomano; perciò, il fondo contiene molti libri ricchi di invettive e rappresentazioni denigratorie di turchi, musulmani, ebrei, donne e altre categorie marginalizzate».
Gli studenti hanno quindi selezionato testi e immagini controversi e li hanno esposti curando cinque pannelli secondo il modello dell’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg: facendoli dialogare in un sistema di corrispondenze e accostamenti insoliti per rappresentare visivamente i “cortocircuiti storici” insiti in essi.
Un bilancio finale
Il progetto Immagini controverse: un framework per un approccio inclusivo e interdisciplinare al patrimonio transculturale raccoglie quindi una sfida storica e didattica di fondamentale importanza, che può essere sintetizzata ancora una volta dalle parole del professor Capriotti:
«Viviamo in società sempre più multietniche, multireligiose, multiculturali, dove le minoranze hanno finalmente avuto accesso alla cultura e nuovi pubblici hanno cominciato a mettere piede nelle chiese e nei musei. Io, in quanto docente, voglio essere pronto ad avere il linguaggio e gli strumenti giusti per spiegare ai miei studenti, presenti e futuri, un passato con cui dobbiamo fare i conti».
Insomma, il proposito è quello di leggere la storia delle immagini – e la storia nelle immagini – con spirito critico e onestà intellettuale, affinché oppressi e oppressori vecchi e nuovi la riscrivano a quattro mani.