Apprendere il linguaggio di programmazione aiuta a sviluppare il pensiero creativo e l’abilità di pensare schematicamente

Una piccola ape può diventare uno strumento inclusivo?

Francesca Gratani, ricercatrice in didattica e pedagogia speciale al Dipartimento di Scienze della Formazione, dei Beni Culturali e del Turismo dell’Università di Macerata, ha rivolto questa domanda al gruppo di insegnanti della scuola d’infanzia e primaria durante l’incontro su coding e robotica educativa per l’inclusione proposto all’interno del Laboratorio TincTec per la Settimana dell’Inclusione di Unimc.  

Coding, la quarta abilità

Luogo pensato per l’incontro di docenti, professionisti del territorio e studiosi, teso alla promozione della ricerca di dispositivi, pratiche didattiche ed educative innovative, inclusive e sostenibili, il Laboratorio TincTec è stato il palcoscenico ideale per affrontare il tema della robotica a scuola. L’evento, coadiuvato da Chiara Laici, professoressa in didattica e pedagogia speciale, partendo dai concetti di coding e pensiero computazionale applicati alla scuola, ha dimostrato l’importanza, al pari di leggere, scrivere e contare, di quella che si prefigura come una quarta abilità

Nell’ultimo decennio si sono inserite le raccomandazioni dell’Unione Europea poiché, ricorrendo all’analogia usata nel 2012 da Mitch Resnick al TEDxBeaconStreet,

i giovani sanno interagire con le nuove tecnologie ma non sono in grado di creare ed esprimersi attraverso di esse, proprio come se fossero capaci di leggere ma non di scrivere.

Se è vero che non tutti coloro che imparano a leggere e scrivere diventano degli scrittori, è altrettanto corretto affermare che chiunque apprenda nozioni di programmazione non diventerà necessariamente un programmatore, ma troverà arricchito il proprio pensiero creativo e l’abilità di pensare schematicamente. Uno scenario che, nel panorama italiano, fa da eco alla Legge 107 del 2015, più comunemente conosciuta come “La Buona Scuola”, di cui un pilastro fondamentale è il Piano Nazionale Scuola Digitale per un’innovazione del sistema scolastico che passi anche attraverso le opportunità offerte dall’educazione digitale e laboratoriale. 

Il valore dell’errore

La progettazione di un algoritmo serve alla risoluzione di un problema reale, sì, ma attraverso un linguaggio che è simbolico, compiendo un’astrazione attraverso una serie di fasi: la prima è l’astrazione, in cui si destruttura la complessità; con la decomposizione si scompone il problema in micro problemi; la scrittura dell’algoritmo, ovvero di quella sequenza di istruzioni dall’ordine logico e chiaro; in ultimo, la verifica della correttezza dell’algoritmo: se errato, si prosegue con la fase di debugging, al fine di individuare e correggere gli errori. Quest’ultimo aspetto del coding e della robotica educativa permette la valorizzazione del ruolo dell’errore, al punto tale da favorire l’autostima del bambino. I punti di contatto con la teoria dell’apprendimento di Bruner sono evidenti: lo psicologo e pedagogo americano, che negli anni ’60 si era distaccato dal paradigma dominante, quello comportamentista, a favore di un apprendimento costruttivista, in cui lo studente acquisisca la conoscenza da solo, assistito da un tutor, il cui sostegno è metaforicamente identificato come quello di un’impalcatura: si elimina al termine della costruzione. 

Per Bruner, è con il coinvolgimento attivo del bambino che le informazioni ricevute dall’esterno verranno elaborate efficacemente. A partire da questo, lo psicologo americano individua tre rappresentazioni della realtà, corrispondenti a diversi momenti evolutivi: la rappresentazione iconica è una tecnica che usa diversi elementi visivi riconoscibili ma non altamente simbolici; la rappresentazione attiva è la forma di apprendimento ottenuta grazie all’interazione diretta con gli elementi; la rappresentazione simbolica è l’apprendimento che si ottiene attraverso il linguaggio, le astrazioni e i concetti.  

L’approccio e i risultati ottenuti dalla robotica educativa sono in perfetta sintonia con la teoria dell’apprendimento di Bruner; l’embodiment e la fisicità dei robot rendono i risultati della programmazione immediatamente accessibili, danno un feedback immediato, intrinseco e a basso impatto.

Il bambino si interfaccia con l’oggetto, non con l’adulto, un tipo di risposta importantissima per i disturbi del comportamento, ad esempio, come il deficit di attenzione o il disturbo oppositivo-provocatorio, in cui è fondamentale svincolare l’attività dall’interazione con l’adulto, ottenendo come risultato la diminuzione della frustrazione e l’aumento dell’autostima nel bambino. 

BeeBot e BlueBot sono due floor robot presentati come validi strumenti per attività propedeutiche di vario genere, adatte sia per la scuola d’infanzia che primaria, poiché capaci di spaziare dallo storytelling al consolidamento della conoscenza dell’alfabeto e dei numeri, per citarne alcuni. Il primo robot è il precursore del secondo, pur rimanendo immutata la forma di ape, il BlueBot differisce nell’aspetto: il guscio è trasparente, facendo così intravedere i componenti interni, catturando a un primo sguardo la curiosità dei bambini. La programmazione on board, per cui si agisce direttamente sull’artefatto, permette di impostare sequenze di comandi complesse anche agli utenti della scuola d’infanzia. Con stupore ed entusiasmo vedranno BeeBot o BlueBot muoversi avanti e indietro, ruotare di 90° o 45°, all’interno dei riquadri da quindici centimetri tracciati su un cartellone a terra, preparato dalle insegnanti per l’attività scelta tra le molteplici disponibili. 

A prescindere dalla configurazione e dalle istruzioni con cui programmare il robot, il fine ultimo è il medesimo. L’interazione con un oggetto reale sviluppa competenze trasversali, quali abilità cognitive e metacognitive, pensiero logico e creativo, competenze linguistiche, competenze socio-relazionali e collaborative. Oltre a stimolare la capacità di categorizzazione, lateralizzazione e problem solving.  

Sì, un’apina può decisamente diventare uno strumento inclusivo sia per la sua capacità di potenziare l’apprendimento che per il suo ruolo di mediatore e facilitatore, il quale permette di abbracciare le necessità di un ampio range di disturbi, come quelli pervasivi dello sviluppo, oltre che i disturbi del comportamento e i disturbi specifici dell’apprendimento. 

Leave a Comment

Comments

No comments yet. Why don’t you start the discussion?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *