La riflessione di Tarcisio Lancioni per la “Settimana dell’Inclusione”

Non si può parlare di inclusione, senza metterla in discussione, senza fare i conti con l’altro, chi è etichettato come diverso. Leggere e cogliere questo punto di vista permette di allargare lo sguardo a una figura che è altro: il criminale. Ma altro rispetto a chi e cosa? Si delinea una figura definita dalle sue azioni. Il criminale è qualcuno che attivamente fa qualcosa che non dovrebbe essere fatto, una scelta che lo rende moralmente inadeguato alla società di cui è parte.

A parlarne è stato Tarcisio Lancioni all’interno del vasto programma stilato dall’Università di Macerata per la “Settimana dell’Inclusione” 2024 con una lezione sul tema “Figure dell’altro: il criminale”. Professore di Filosofia e Teoria dei linguaggi all’Università di Siena, dove insegna Semiotica dell’immagine e Semiotica del testo, i suoi principali interessi di ricerca ruotano attorno alla teoria della rappresentazione e all’analisi delle immagini, visive e letterarie. Invitato da Marcello La Matina, professore di Filosofia del linguaggio aUniMC, la lectio di Lancioni, termine scelto per la sua derivazione da legĕre, nel senso di “cogliere” e “leggere”, è stata una rappresentazione dell’alterità.

La criminalità è una devianza comportamentale e morale da escludere, da “portare fuori”, dall’insieme coerente e omogeneo di partenza, ovvero la comunità di persone che si riconosce nel concetto di noi. Per l’escluso vengono creati spazi appositi, denominati “eterotopie” da Michelle Foucault, l’opposizione al termine “utopia” è spiegata dal fatto che questi luoghi siano reali ed effettivi, trattasi di contro-luoghi, utopie realizzate, spazi all’interno del nostro mondo. 

Le eterotopie, a differenza delle distopie e delle utopie, esistono e rispettano le regole del nostro mondo, accolgono l’alterità e possono essere di due tipologie: crisi e deviazione.

Le eterotopie di crisi sono dei luoghi dove vengono collocate le persone che si trovano momentaneamente ad essere altre rispetto al mondo in cui si trovano. L’esempio è quello delle società tribali, dove si costruisce uno spazio apposito per creare un altrove per far realizzare qualcosa.

Le eterotopie di deviazione, invece, sono le carceri. Luoghi in cui viene segregata la devianza, quel qualcosa che deve essere escluso dalla società, in una temporalità sospesa, per un tempo indefinito.

Una reclusione in cui avviene la costituzione di una società altra rispetto alla nostra poiché la reclusione non è individuale e avviene in un luogo in cui il ruolo costitutivo è un tipo di sguardo, quello sorvegliante. La società odierna, nei confronti della devianza e del crimine, è una società osservante, da una posizione privilegiata, dall’alto, che gli permette di esercitare controllo sull’altro, fino a spersonalizzarlo.
Le carceri sono delle società nella società che le ha marginalizzate. Al loro interno si crea un ulteriore noi, viene stigmatizzato chi si comporta in modo diverso, motivo che gli nega l’inclusione non soltanto rispetto alla società largamente intesa, ma rispetto a quella creatasi tra le mura della prigione.

Includere è fare i conti con qualcosa che in precedenza era stato considerato altro, diverso. Un giudizio che va rimesso in discussione, per una società davvero inclusiva.