All’interno di un’azienda, dalla fornitura alla vendita, ogni fase può essere sostenibile, e questa sostenibilità – ambientale, economica e sociale – va comunicata non solo ai consumatori, ma anche a partner, istituzioni e all’interno dell’azienda stessa, con innumerevoli vantaggi

Le prime considerazioni vanno svolte proprio sul concetto di sostenibilità: abbracciando la teoria del Triple Bottom Line1, coniata da John Elkington, si può osservare come non basti solo prendersi cura dell’ambiente che ci circonda, non inquinare e usare fonti di energia rinnovabili per essere sostenibili – come vuole il luogo comune –, ma sono necessarie anche una sostenibilità economica e una sostenibilità sociale, che coltivi quindi il rispetto delle lavoratrici, dei lavoratori e di ogni cultura:

Grafico illustrativo della teoria “Triple Bottom Line” (da www.cantinevolpi.it/sostenibilita)

«È compito dell’azienda soprintendere a questi tre ambiti e usare la comunicazione in modo corretto per ognuno di essi», come ci spiega Elena Cedrola, docente di economia e gestione delle imprese, poiché proprio «la comunicazione è protagonista e garante dell’approccio sostenibile di un’azienda».

Insomma, la sostenibilità reale di un’impresa insieme alla migliore comunicazione possibile possono portare benefici a lungo termine, sia per il pianeta, che per le tasche, la credibilità e la percezione dell’azienda da parte del consumatore e dei suoi dipendenti. Ma se si pensa – come spesso accade – alla comunicazione della sostenibilità come esclusivamente rivolta ai futuri acquirenti, quindi sotto forma di pubblicità, si commette un errore grossolano, dal momento che questa investe potenzialmente tutte le fasi della supply chain – la catena del valore prodotto dall’impresa.

Entrando più nel dettaglio, «La supply chain racchiude tutta la vita dell’azienda – illustra la professoressa – dall’acquisto delle materie prime al rapporto col consumatore, considerando nel mentre tutto il processo produttivo, il trasporto, la logistica, la distribuzione, fino alla parte di pagamento». E la comunicazione è cruciale in tutti gli step.

Ad esempio

«Nel momento in cui devo comunicare le caratteristiche della mia azienda ai fornitori di materie prime, è importante che sappia rendere chiaro a chi ho di fronte il mio protocollo di sostenibilità e la volontà di rispettare determinati standard. È importante – per fare un altro esempio – anche la comunicazione all’interno della azienda, nella parte di produzione: io azienda sostenibile ho una mission e una vision appropriati che vado poi a comunicare all’interno tra tutti i dipendenti e i collaboratori per stimolare comportamenti sostenibili ed etici».

E perché questo ultimo aspetto è fondamentale? Primo, per il benessere sociale descritto pocanzi, per cui un ambiente sensibile alla sostenibilità migliorerà il benessere delle lavoratrici e dei lavoratori che vi operano dentro; secondo, «perché i dipendenti sono i primi comunicatori, soprattutto nel territorio, e un dipendente davvero entusiasta di un certo comportamento lo dirà a tutti».

Concretamente, un’azienda come può comunicare in modo efficace le proprie pratiche di sostenibilità?

«Ci sono i classici mezzi di comunicazione – ci illustra la docente – giornali, tv, radio, cinema, a cui si affiancano tutti i media digitali. Poi ci sono le associazioni fra aziende dello stesso settore, che sensibilizzano su un medesimo tema. La confezione del prodotto è un altro modo molto semplice per comunicare la sostenibilità, anche se a livello internazionale non c’è una norma unica sulle etichette, e in più questo settore è uno dei più investiti dal greenwashing, che nulla c’entra con la sostenibilità reale».

Decisamente più innovativa e al centro di numerose ricerche dell’Università di Macerata è l’idea di certificare la sostenibilità di una supply chain tramite l’utilizzo della tecnologia blockchain2: in breve, un registro informatico, pubblico e decentralizzato, in cui chi ha l’accesso può inserire informazioni incontrovertibili che vanno a legarsi a quelle già inserite.

«In questo registro – come dice la prof.ssa Cedrola – le informazioni non sono modificabili, quindi risulta un sistema utile a tante aziende per rendere certificato e tracciabile il loro comportamento sostenibile. Ad esempio, si possono inserire su una blockchain le caratteristiche delle proprie materie prime e il cliente – che può essere un consumatore o un buyer –  attraverso un QR code può accedervi, sicuro della garanzia trasmessa da tale tecnologia».

Una blockchain ovviamente ha senso se viene integrata – e quindi verificata – da molte aziende dello stesso settore, ed ecco perché «assistiamo a molti esempi di associazionismo, in particolare nel settore del fashion, dove la blockchain non serve solo a garanzia della sostenibilità, ma anche della non contraffazione della merce».

Uno sguardo all’Oriente

Studi sulla blockchain che sono stati coadiuvati dal progetto TRUST – digital TuRn in EUrope: Strengthening relational reliance through Technology, che ha visto la collaborazione tra Unimc, le imprese del nostro territorio e vari player cinesi, tra università e privati. «Lavorare sulla sostenibilità, sulla tracciabilità del prodotto e sulla sua garanzia all’interno di questo mercato è importantissimo – continua la docente –. Il Governo cinese, inoltre, ha dichiarato di voler diventare a breve il numero uno nell’utilizzo della blockchain». Nonostante la Cina sia ancora tra i colossi globali del carbone, energia con cui sostiene l’imponente produzione di impianti fotovoltaici ed eolici da esportare in tutto il mondo, «sono leader in questo campo e gradualmente stanno riconvertendo il loro sistema industriale».

Cosa possiamo imparare dalla realtà cinese? «Che non tutto deve essere lasciato in mano alle singole aziende: c’è una parte più politica di indirizzo che deve avere un grosso impatto a livello operativo e a livello comunicativo, e deve sapersi interfacciare con le aziende, gli atenei e le associazioni, per raggiungere i tre piani della sostenibilità».

Per approfondire:
1. Cos’è la triple bottom line? | IBM
2. Blockchain – Wikipedia