Il neoliberismo non solo ha modificato l’economia, ma ha anche reso difficile il suo stesso superamento, creando un consenso passivo che impedisce l’emergere di alternative politiche ed economiche.

“When neoliberal virtues trump social economic aspirations” è il saggio presentato da Paolo Ramazzotti, professore associato di Politica Economica presso l’Università di Macerata, ha presentato al convegno mondiale organizzato dall’Association for Social Economics alla University of Massachusetts di Boston (5 e 6 giugno 2024). Nella sua versione anglofona, il titolo è più esplicativo di quanto il docente volesse. L’utilizzo del verbo “to trump” suggestiona il pensiero comune del lettore e dell’uditore, fino a dirottarne l’immaginazione verso il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Ma “Quando le virtù del neoliberismo scansano le aspirazioni dell’economia sociale” non intende gettare luce specificamente sulle vicissitudini del continente americano, piuttosto rintraccia una tendenza condivisa in Europa e in atto dagli anni Ottanta del secolo scorso.

Poveri che votano come i ricchi

Sovvertendo quanto verificatosi nel trentennio post-bellico, periodo che in letteratura economica è detto “età dell’oro del capitalismo”, da circa quarant’anni si assiste a un processo redistributivo: i ricchi si arricchiscono e i poveri si impoveriscono. Questi ultimi sono di gran lunga superiori, per numero, ai primi, e il loro status è esplicitato dalla denominazione con cui vengono identificati: Working poor. Sono quelle persone che, pur avendo un’occupazione, vivono in condizione di povertà e, paradossalmente, quando chiamate al voto, esprimono la propria preferenza politica eleggendo quei partiti dal programma elettorale teso a favorire i ricchi. Ecco cosa succede quando il neo-liberismo surclassa – to trump – le aspirazioni dell’economia sociale. Si verifica quello che Ramazzotti definisce il paradosso del neoliberismo.

La tesi sostenuta dal professore associato di Politica Economica di UniMC al convegno di Boston è che la disgregazione sociale, creata dalle politiche economiche neoliberiste, ha prodotto frammentazione politica e una situazione paradossale per cui chi viene danneggiato dal neoliberismo è la stessa categoria di persone, i Working Poor, che lo vota. Siamo di fronte a un paradosso che può essere spiegato in ottica di evoluzione progressiva, stando al pensiero di Crouch o, come sostenuto dal paper di Ramazzotti, come il risultato di politiche economiche neoliberiste.

Perché si verifica questa situazione?

Secondo la riflessione non di un economista ma di un sociologo, Colin Crouch, è una questione di evoluzione progressiva e di “post-democrazia”. Questo termine compare nel titolo di due delle sue pubblicazioni ed è volto a identificare, anzi, fotografare, una situazione politica in cui esistono le Istituzioni tese al sostengo di un sistema democratico ma carenti della partecipazione degli elettori. Per il sociologo sono due le motivazioni responsabili, dei veri e propri mutamenti strutturali: la globalizzazione e il venir meno delle condizioni del consenso politico.

La prima, secondo Crouch, consiste nel fatto che a una forte internalizzazione delle operazioni commerciali e finanziarie non corrisponda un sistema che le regolamenti a livello internazionale. Questo pone dei vincoli alla politica economica nazionale e mette in difficoltà i governi nazionali. Si crea un conflitto tra interessi interni ed esterni. Per Crouch, l’evoluzione del sistema economico verso la globalizzazione, ha gettato le basi per la difficoltà del sistema democratico a funzionare poiché i governi, che sono eletti democraticamente, devono rispettare regole esterne a quelle fissate dagli elettori.

La seconda circostanza responsabile, secondo Crouch, della “post-democrazia” è il venir meno del consenso politico. Una situazione che in Europa è dovuta sia alla perdita di importanza della religione che all’indebolirsi di una struttura industriale di tipo fordista. Le grandi imprese rappresentavano un luogo di aggregazione e identificazione sociale dei lavoratori. Le persone si sentivano rappresentate dal loro status, per questo agivano insieme, come un unicum, per rappresentare delle istanze politico-sociali. Venuta meno questa condizione, ora, nel post-fordismo, vi è una disgregazione dell’unità dei lavoratori, della compattezza politica

Mercati, religione, catena di montaggio… è davvero tutto qui?

No. L’articolo di Ramazzotti, pur riconoscendo l’importanza assegnata da Crouch alla crisi della democrazia, argomenta come le tesi del sociologo fossero fuorvianti poiché sottovalutano il ruolo delle politiche neoliberiste. I processi di globalizzazione e di decentramento produttivo, che hanno scomposto i lavoratori, quelli di riorganizzazione delle modalità di lavoro, con conseguente crescita di precarizzazione, non sono fenomeni naturali. Sono scelte politiche. In parte possono essere nazionali e in parte no. Per questo tutto si ricollega al neoliberismo. Non basta neanche questo, però. Le politiche economiche neoliberiste, idealmente, tentano di creare condizioni istituzionali, cioè dei sistemi di regole, che riorganizzino l’economia nel modo in cui è teorizzato nei manuali di economia del primo anno.

Il neoliberismo, secondo Ramazzotti, impone un sistema economico in cui il mercato, regolato dai prezzi, prevale sullo Stato sociale e sulla tutela del lavoro. Questo porta a una visione individualistica della società, dove la condizione economica delle persone è attribuita esclusivamente alle loro scelte e capacità personali, giustificando così disuguaglianze e precarietà.

Cosa accade, quindi?
I singoli individui sono imprenditori di se stessi, la loro condizione dipende unicamente da loro. Sei disoccupato? Non vuoi lavorare, non accetti le regole del mercato. Sei povero? Non hai la voglia o la capacità per essere produttivo. Questo è il risultato delle politiche neoliberiste. Così muoiono le aspirazioni delle persone.

Questa situazione è ammissibile? Per Ramazzotti, è un paradosso nel paradosso: chi è al governo trae consenso proprio dalle condizioni generate dal neoliberismo, rendendo difficile qualsiasi cambiamento. Si verifica un’impossibilità di cambiamento. Le persone soffrono le conseguenze economiche ma, al contempo, il sistema politico si autoalimenta attraverso un un consenso infelice e non del tutto partecipe, rendendo difficile immaginare un’alternativa. In realtà, esistono delle premesse per desiderare un’alternativa.

Come pensare una politica economica diversa?

Ramazzotti suggerisce che il cambiamento non possa basarsi solo su nuove politiche economiche governative, ma debba coinvolgere anche attori intermedi tra lo Stato e i singoli individui, come sindacati e organizzazioni no-profit, che possono resprimere certe istanze di carattere sociale e dare l’opportunità di aggregazione ai lavoratori, quella che è venuta meno con la post-democrazia.