Con “Costellazioni di ricerca” nuovi finanziamenti di Unimc alla ricerca di base: democrazia e social, migrazioni climatiche, creatività, storie “riparative” e narrazioni decoloniali. Gli obiettivi: innovazione, partnership europee e sviluppo della didattica.

 “Costellazioni collaborative di ricerca”: questo è il nome del nuovo progetto con cui l’Università di Macerata mira a potenziare la ricerca di base, stimolando la collaborazione tra dipartimenti e il contatto con gli atenei europei.

«Molto spesso nei framework internazionali – ci spiega la prorettrice Silvana Colella – la ricerca è vincolata, nel senso che ci sono temi, o come si dice in gergo, “destinazioni” predefinite verso cui vengono indirizzati i fondi e il lavoro. Questa invece è realmente ricerca “sciolta”, con temi scelti in autonomia dai gruppi di ricerca e valutati positivamente da commissioni esperte esterne all’Università».

La prorettrice di Unimc Silvana Colella insieme al rettore John McCourt

L’investimento di € 240 mila, in linea con il Piano Strategico dell’Ateneo – come specifica il rettore McCourt – andrà ad interessare, nell’arco di due anni, cinque aree di ricerca, molto diverse fra loro per scopi e interessi, ma accomunate dalla stessa visione e dagli stessi valori.

«Tutti i progetti sono interdisciplinari – aggiunge lo stesso rettore –, quindi vedono coinvolti tutti i dipartimenti dell’Università di Macerata. E sono internazionali, poiché in collaborazione con vari partner di altre nazioni», tra cui i nuovi partner all’interno della ERUA – European Reform University Alliance, il nuovo accordo nato fra otto atenei europei, tra cui Unimc per l’Italia, con al centro la didattica, l’innovazione e lo sviluppo della ricerca.

Ma andiamo a vedere quali sono le cinque aree coinvolte nella “Costellazione”.

Aumentare la creatività pensando per contrari

Prof.ssa Ivana Bianchi

Spesso si pensa alla creatività come a quella dote innata di artisti e artiste che permette loro di pensare fuori dagli schemi, di vedere conigli dove gli altri vedono solo nuvole. Distogliendo lo sguardo dal cielo però ci accorgiamo di come, da dono di pochi eletti, la creatività sia in realtà pane quotidiano per moltissimi mestieri; una delle skills che a livello professionale possono fare davvero la differenza, nel design di un prodotto, in una campagna pubblicitaria o in una nuova ricetta, per dirne alcune. 

«La nostra scommessa è capire se un training semplice al pensare per contrari possa essere utile per generare risposte più creative, intendendo con ciò sia delle risposte più originali, sia – a livello quantitativo – un numero maggiore di risposte». Con queste parole Ivana Bianchi, docente di psicologia, ci introduce al progetto “Thinking in Opposites to improve Creativity (TOC): A challenging hypothesis for Cognitive Sciences and AI”.

La sfida quindi è questa: capire in che misura il pensare per contrari possa aumentare la creatività di un gruppo di lavoro di fronte a una determinata questione, e sviluppare modelli, strumenti, training set – anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale – che consentano di allenare questa capacità.

«Vogliamo dare quindi alle persone la possibilità di imparare a pensare per contrari», spiega sempre Bianchi. «La potenza del progetto poi è nel mettere attorno a un tavolo una rete di esperti e non esperti che nei 10 anni in cui ci occupiamo del tema si è continuamente ampliata; e che ci permetterà, anche con l’AI, di indagare come cambia il processo cognitivo di chi viene stimolato con questi training: osserviamo i dialoghi che sviluppano, i disegni, le bozze che producono, così da monitorare i progressi e gli aspetti su cui apportare delle modifiche».

Migrazioni climatiche: che impatto hanno sulla nostra economia e società?

Si può migrare per fuggire da guerre, persecuzioni, carestie, o per cercare condizioni di vita migliori. Gli scenari sono molti, e il cambiamento climatico a cui stiamo andando incontro – o per meglio dire, la catastrofe climatica – ne mette sul piatto altri. Nel XXI secolo si migra e si migrerà per ragioni ambientali: per l’innalzamento dei livelli del mare che mette a repentaglio la vita su molti arcipelaghi; per la desertificazione di terreni prima fertili; per gli eventi sempre più estremi, che vediamo anche solo dalla finestra di casa nostra. Il fenomeno delle migrazioni climatiche è proprio il tema della ricerca coordinata da Andrea Caligiuri, professore di diritto internazionale:

Prof. Andrea Caligiuri

«È un progetto che non nasce dal nulla: il gruppo è supportato dal Centro interdipartimentale di Ricerca sull’Adriatico e il Mediterraneo (CiRAM), in più abbiamo verificato nell’ambito della rete ERUA se ci fossero partner interessati. L’obiettivo è verificare in modo chiaramente non esaustivo gli impatti del fenomeno sulle nostre società europee e sull’altra sponda del Mediterraneo».

Le migrazioni ovviamente sono sempre esistite, e l’indagine vuole infatti «ripercorrere in chiave storica in che momenti il fenomeno ha costituito un momento di rottura». Gli aspetti sopra evidenziati – storico e socioeconomico – concorrono ad un unico scopo, come illustra lo stesso docente: «I migranti ambientali al momento non hanno un regime giuridico che li protegga, ma hanno bisogno di tutela nella società che li riceve. Quindi vogliamo definire alcune soluzioni giuridiche per la loro ricezione e protezione, così da poter fornire suggerimenti utili ai decisori politici».

Linguaggi, identità e storie “decolonizzate”

Ogni storia che ascoltiamo, la lingua usata per raccontarla, e il suo contenuto – la rappresentazione dei personaggi, le loro azioni, il contesto in cui vengono fatti muovere – sono tutti fattori sostenuti da un retroterra culturale, fatto di tradizioni, modi di fare, del passato vissuto dal popolo in cui quel racconto nasce. Un passato che, soprattutto per chi vive nel continente africano, è segnato dall’ombra del colonialismo, di un eurocentrismo imposto che ha minato la sopravvivenza di una primavera di culture diverse.

«La nostra è un’urgenza scientifica, sociale e civile – spiega Rosita Deluigi, coordinatrice del progetto – ci prefiggiamo di mettere a fuoco le lingue e i linguaggi per narrare le identità afrodiscendenti, con una prospettiva decentrata, decoloniale, che cercheremo di trasformare anche in didattica».

“Afrodiscendenze, traiettorie identitarie e linguaggi plurali: presenze, posizionamenti e autonarrazioni in prospettiva decoloniale”, il titolo della ricerca, racconta già lo scopo e il suo posizionamento su molteplici piani di azione: «Il nostro è uno sviluppo di Costellazioni al cubo: al primo livello c’è lo sviluppo di logiche e pratiche internamente; al secondo, l’interazione con un network transnazionale; al terzo, la ricerca didattica e la divulgazione del nostro operato».

Se i social minassero la democrazia

Prof. Giovanni Di Cosimo

Il titolo è provocatorio, dato che internet è lo strumento democratico per eccellenza: accessibile a tutti, in larga parte gratuito e in larga parte senza censure. Tuttavia, proprio per queste ragioni, c’è il rischio che possa diventare incubatore di pensieri non democratici, soprattutto da quando è diventato il palcoscenico principale di tutte le campagne elettorali. Giovanni Di Cosimo, insieme al suo team, si sta occupando della questione con il progetto intitolato “Le nuove sfide alla democrazia nell’ecosistema digitale”:

«Prima era un tema solo per poche sedi, mentre oggi è di drammatica attualità – racconta il docente –. Partiamo da due punti: il primo, la democrazia è sotto attacco, ci sono nuove sfide, nuove insidie avanzate contro questo modello anche dentro l’UE; il secondo, la rete ha cambiato tutto nelle dinamiche elettorali, come è stato evidente in occasione delle ultime elezioni europee, quindi ha cambiato anche la democrazia per come la intendevamo prima».

Lo scopo della ricerca: capire quali soluzioni possono essere messe in campo nel caso in cui prendessero piede sui social opinioni anti-democratiche o al solo fine di manipolare l’opinione pubblica. Come? «Con un metodo transdisciplinare – spiega sempre DI Cosimo – che coinvolga l’analisi dei dati da parte di ingegneri e la loro interrogazione da parte di giuristi e storici. Un metodo che tiene insieme sensibilità diverse».

Storie che risanano

«L’idea è partita da un’immagine, dal potere di ricucitura che i racconti hanno nelle nostre vite». Così Silvia Pierosara introduce il progetto “reSTOrative naRratIvES – Stories”, che si concentra sull’impatto delle narrazioni come strumento per riparare le maglie sfibrate non solo di una psiche, ma anche di una comunità, o della società intera.

«Vogliamo sondare il valore riparativo dei racconti, cercando di capire, modellizzandoli, quali tipologie cementano i legami interpersonali e sociali, e quali li disgregano, i cosiddetti “racconti dell’odio”».

Prof.ssa Silvia Pierosara

Il racconto, per sua natura duttile, soggetto a costruzioni, decostruzioni e ricomposizioni di ogni suo mattoncino, alla luce di questo scopo, chiama a raccolta molte discipline, come l’etica, la psicologia dello sviluppo, la sociologia; ma anche ambiti che sembrano essere molto lontani come la giurisprudenza, la medicina e l’ingegneria dell’informazione. Addirittura si parla anche di “medicina narrativa” e “architettura narrativa”, e ciò rende l’idea di quanto l’analisi scientifico-umanistica dei racconti e il loro impiego a tal fine sia zona d’interesse per una vasta platea di specialisti. L’idea di identificare e sviluppare modelli di racconto che siano lenitivi, curativi per uno e tanti esseri umani, abbraccia anche il valore della cooperazione internazionale – basilare nella Costellazione – «perché attraverso il dialogo con tutti i partner dell’alleanza ERUA vogliamo condividere e migliorare i risultati che raggiungeremo».