Consigli e pratiche per lavorare con la diversità. L’inclusione: «permette a tutti di giocare la propria partita» 

Per una vera inclusione bisogna rompere l’uguaglianza. Sembra una provocazione, ma è uno dei concetti più importanti emersi nell’incontro “Placement, diversity & inclusion”, durante la Settimana dell’Inclusione 2024. Al centro del dibattito, che ha coinvolto il Diversity Manager Daniele Regolo e diverse esperte del settore, come il rispetto e la cura delle diversità sul posto di lavoro permettano a ciascuno di esprimere al massimo la propria professionalità, la propria unicità, cosicché «la disabilità sia il 10% e non il 100% di una persona».  

In ordine da sinistra: Maria Paola Agasucci (Comune di Macerata), Teresa Lambertucci (Responsabile Centro per l’Impiego, Macerata), Daniele Regolo (Diversity and Inclusion Manager), Anna Maria Mariani e Laura Marchegiani (Università di Macerata).

L’importanza della questione

«Sono temi importanti sia come educatori che come cittadini», dichiara la Laura Marchegiani, responsabile del servizio placement e orientamento alla carriera dell’Università di Macerata, «per questo motivo è giusto che nelle Università, dove sono i lavoratori di domani, si diffonda la cultura di un azienda inclusiva e aperta alle diversità». Ma “inclusione” è un termine da «maneggiare con cura», come ricorda la prorettrice Catia Giaconi, perché è facile cadere in cliché e perbenismi. Queste sono anche le parole usate nel libro “La formula dell’unicità” dal suo autore Daniele Regolo: dottore in Scienze Politiche a UniMc, con una condizione di sordità profonda dalla nascita e da anni Diversity and Inclusion Manager per numerose aziende.  

«Per ottenere una vera meritocrazia in azienda», spiega Regolo, «occorre che tutti abbiano i mezzi necessari per esprimere il proprio valore e le proprie capacità. Ma questa non si ottiene attraverso l’uguaglianza degli strumenti e delle opportunità messe a disposizione, bensì grazie alla loro equità, al loro essere cuciti in base alle esigenze di ciascuno»

Lavoro inclusivo, cosa si può fare?

In concreto, per le aziende significa mettere in atto azioni di welfare – come, ad esempio, permessi ed orari di lavoro flessibili, o la possibilità di lavorare da remoto – sia per persone affette da disabilità, sia per care-givers e tutti coloro che vivono situazioni in grado di gravare e inficiare sulla buona riuscita dell’attività professionale; in questo senso «l’inclusione», come si legge nel libro, «è lo strumento che permette a tutti di giocare la propria partita»

Copertina del nuovo libro di Daniele Regolo (Mondadori, 2024)

«Oggi assistiamo – come illustra Teresa Lambertucci, responsabile del Centro per l’Impiego di Macerata – a un’evidente evoluzione nei servizi di assistenza, e la legge 68 del ’99, il testo unico sulla disabilità, è uno dei più avanzati d’Europa»; «quindi l’aspetto dove si può intervenire di più – dalle parole di Regolo – è quello culturale: molta gente – tra dipendenti e datori di lavoro – non conosce gli ausili di cui per legge può usufruire, come gli accomodamenti ragionevoli».  

L’idea di inclusione, col passare degli anni, sta diventando sempre più normale, e normalmente inserita nelle politiche aziendali: è normale che le persone disabili siano soggetti di diritto, e non solo da assistere; è normale, per molte realtà imprenditoriali, chiedere la consulenza dei diversity manager, o abbattere le barriere architettoniche e intellettive; ma «l’inclusione non va avanti solo perché dopo il ’23 c’è il ’24 – sostiene Daniele Regolo – va avanti grazie alla consapevolezza che quella disabilità è solo il 10% di una persona, non il 100%». 

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